domenica 6 aprile 2014

Coesistenza tra i valori personali/sociali naturali e la proprietà privata Di Veientefurente alias Orazio Fergnani



Coesistenza tra i valori personali/sociali naturali e la proprietà privata

Di Veientefurente alias  Orazio  Fergnani


         La proprietà privata non è sempre esistita. Fu istituita e statuita verso la fine del Medioevo con la nascita della manifattura, un nuovo metodo di produzione che non si lasciava subordinare alla proprietà e al potere feudale.
         L’apparizione sullo scenario economico-sociale della manifattura e della contemporanea figura del borghese (abitante del borgo, ben distinto dal nobile e dal popolano) generò il concetto di “proprietà privata”.
 
         Per la società ed economia dell’epoca, ancora non abbastanza sviluppate per produrre a sufficienza per tutti, la proprietà privata diventò una opportunità ma anche un vincolo, un limite, una discriminazione, una grande disparità.

Successivamente ci furono illustri sociologi e studiosi di varia specializzazione come Rousseau che, si occupò prevalentemente di ricercare le cause delle ingiustizie sociali. Probabilmente questo suo interesse e questo suo accanimento derivavano dalla sua esperienza personale di figlio di poveri artigiani, che lo aveva costretto per lunghi anni a vivere in misere condizioni. In estrema sintesi egli identifica nell’organizzazione della sua contemporanea società la radice del male dell’uomo: l’assenza di libertà, la disuguaglianza economica, sociale ed etica.

A suo parere le ingiustizie sociali sono il risultato di un particolare fattore economico, la proprietà privata, e senz’altro aveva la sua parte di ragione.

Dal momento in cui l’uomo si è reso padrone di un bene dicendo “questo è mio”, è nata la società civile e con essa sono nate le disuguaglianze e quindi la sottomissione dei poveri ai ricchi che al fine di garantirsi il mantenimento della propria proprietà servendosi del graduale assoggettamento e controllo del potere politico hanno nel contempo soggiogato e sfruttato tutte le altre classi sociali.

Proprio riguardo questo tema, sempre Rousseau scrisse “Il discorso sull’origine dell’ineguaglianza tra gli uomini” e più tardi “L’Emilio” e “Il contratto sociale”. In quest’ultima opera egli identifica  nel “contratto sociale”l’elemento catalizzatore che possa essere un rimedio all’ineguaglianza. Esso restituirà all’uomo la libertà, lo riporterà al suo stato naturale e ne farà un essere sociale.

Proudhon dal canto suo ne “Che cos’è la proprietà?” inserisce la sua famosa definizione “la proprietà è un furto”. Questa definizione si riferisce al fatto che la proprietà rende possibile l’appropriazione del lavoro altrui. Per cui Proudhon non vuole l’abolizione della proprietà capitalistica, ma solo l’abolizione dell’interesse capitalistico, cioè del reddito illegittimo che la proprietà privata consente di godere al capitalista a spesa del lavoro altrui. La sua idea della proprietà si riferisce alla somma degli abusi odiosi che dalla proprietà possono derivare ed alla violenza che essa è in grado di esercitare sui ceti più deboli. Inoltre egli nega la figura del sovrano e ad essa contrappone l’anarchia che però non deve essere intesa come generatrice di caos.

Come Rousseau, anche Proudhon fa riferimento al “contratto sociale”, ma in maniera molto diversa. Per Proudhon il contratto sociale è un patto in cui le parti si accordano liberamente in un sistema di scambi reciproci. L’individuo si realizza solo all’interno di un gruppo ed il principio fondamentale che tiene uniti i rapporti sociali tra uomini è la giustizia. La giustizia deve essere una realtà, una forza dell’anima individuale e della vita associata.

Anche Marx ed Engels condannarono duramente la proprietà privata.  Essi fecero una feroce critica filosofico-politica allo Stato, dove scorgevano i tratti essenziali della civiltà moderna nell’individualismo e nell’atomismo, che “legalizzano” come diritti dell’uomo la libertà individuale e la proprietà privata. La proprietà è per loro un monopolio su certi oggetti o privilegi protetti dallo Stato, che possono essere usati per sfruttare il lavoro altrui.

Lo Stato è la proiezione politica di una Società strutturalmente a-sociale. L’ideale di società che Marx ed Engels hanno in mente si identifica con un modello di democrazia sostanziale e totale.

Secondo loro, l’unico modo per realizzare un modello di comunità solidale è l’eliminazione delle disuguaglianze reali tra gli uomini, ed in particolare modo della proprietà privata.

A realizzare questa impresa sarà per entrambi la classe priva di proprietà, il proletariato, che soffre maggiormente dell’alienazione prodotta dalla società borghese, e che con una rivoluzione non ha nulla da perdere (perché ha già perso tutto) e tutto da guadagnare.

Infatti la causa del meccanismo globale dell’alienazione dell’operaio risiede nella proprietà privata dei mezzi di produzione in virtù della quale il possessore della fabbrica può utilizzare il lavoro di una certa categoria di individui, i salariati, per accrescere la propria ricchezza.

E questo è ancor più esponenzialmente vero oggigiorno in cui i mezzi di produzione dei beni e della ricchezza sono appannaggio unicamente ,alla fine del percorso della ricchezza, delle grandi banche internazionali!

Anche Veblen, considerato il primo esponente della sociologia nordamericana, disdegnerà la ricchezza ricavata dal lavoro altrui. Nella sua più importante opera “La teoria della classe agiata” egli tratterà l’istituzione della proprietà privata. Ponendosi egli stesso nella mentalità del povero e operoso contadino norvegese critica il lusso e gli inutili sprechi dei ricchi.

A suo parere, ed anche a mio parere, l’ istituzione della proprietà privata non può essere compresa esclusivamente come un modo per garantirsi la sussistenza, essa ha molte sfaccettature e per la maggior parte legittime, e da preservarsi, non però la successiva considerazione.

Questa istituzione trova purtroppo prevalente fondamento, supporto, giustificazione sull’ emulazione, cioè sul bisogno di apparire più ricchi, potenti e  superiori agli altri, e si manifesta con il consumo vistoso, appariscente, ingiustificato. Veblen condannerà questo consumo improprio, anticipando le successive critiche al consumismo.

Egli distingue due tipi di attività e due tipi di istituzioni: L’istituzione e l’attività finanziaria, che sono basate sul guadagno che deriva dalla proprietà privata ( Veblen attaccherà i capitalisti che vivono di una attività finanziaria improduttiva ); l’istituzione e l’attività industriale, che sono basate sul lavoro manuale e produttivo. Distingue anche la cultura in cultura accademica, collegata ad una visione magica del mondo, e cultura tecnologica, basata appunto sullo sviluppo tecnologico. Secondo Veblen lo sviluppo della cultura tecnologica e conseguentemente dello sviluppo industriale attenuerebbe la moda del consumismo attraverso l’evoluzione sociale, e qui aveva ragione su alcuni aspetti e torto marcio su tantissimi altri.

Ognuno di questi sociologi a cui si è fatto riferimento ha cercato di trovare una soluzione all’istituzione ed all’abuso della proprietà privata senza peraltro mai riuscire in maniera determinante a coglierla e a definirla compiutamente, questo soprattutto perché essa sempre esaminata avulsa dal confronto e dalla comparazione sulla valenza dei “valori naturali” preesistenti alla proprietà privata.

Oggi alcuni fra cui Alain de Benoist finalmente si sono avvicinati alla captazione dello scenario completo percependo epitelialmente alcuni aspetti, che condivido in pieno, ma non riuscendo però a recepirli esaustivamente e ad evidenziarli nel loro reale grado e dimensione.

Ecco a conclusione di questa lunga prefazione quale è la mia personale convinzione sul sistema complessivo della società, della politica, dell’economia e delle sue infinite manifestazioni, considerazioni, estrinsecazioni e conseguenze.

Dall’ epoca della Rivoluzione francese in poi la schiera delle opzioni politiche ha sempre ruotato attorno all’artefatto dualismo destra –sinistra.

Negli ultimi anni, la cosiddetta “fine delle ideologie”, il crollo del comunismo reale e non, nonché la caduta del dollaro, del capitalismo, del liberismo e la corruzione finale di questi concetti ha determinato il prevalere di logiche puramente amministrative ed economiciste di sopravvivenza cosciente o inconsapevole, e il mantenimento delle posizioni acquisite, ed hanno contribuito a disgregare ogni aspetto della politica storica in senso lato, la quale però continua ad essere percepita nella teorizzazione comune come centro – destra o centro – sinistra.

In ogni caso così mettendo finalmente in chiaro la artificiosità e falsità di questo concetto dualistico contrappositivo, alternativo; un sistema creato sul nulla e sostenuto da nulla se non dal denaro della grande borghesia a partire da qualche decennio prima della rivoluzione francese. Borghesia  che avvedendosi dello sviluppo della cultura e dello svelamento della nebbie dell’ignoranza e della superstizione, aveva ben percepito la potenziale dirompenza delle richieste sociali delle nuovi classi emergenti della cultura, della ricerca, delle professioni, delle nuove classi sociali generatesi dall’industria.

Viene spontaneo, ed è il quesito centrale a cui dare risposta politica, chiedersi se queste categorie siano confacenti e abbiano tuttoggi un senso, e se siano in grado di manifestare e rappresentare la realtà politica e sociale attuale.

L’attuale riflessione si incentra sulla distinzione tra una concezione puramente politica della destra e una concezione conservatoristica della relazione “uomo-mondo” definita destra “sociale”. Le categorie concettuali filosofiche che ne sono alla base, ovvero natura, identità, gerarchia, autorità, ordine, ruoli, posizioni, diritto ….. si dispongono perfettamente ad un’applicazione politica reazionaria, ma anche ad una ricollocazione in una visione evolutiva che presenta insospettate prospettive per fronteggiare la crisi attuale senza virtuali violenze nè rischi di ricaduta nei secoli bui.

La società contemporanea è dominata a livello comunicativo/culturale da un’ideologia che intreccia due formule dogmatizzate, ascrivibili una alla destra e una alla sinistra non più identificabili con reali ed esistenti forze sociali.

Di destra è il “pensiero unico”, ossia l’idea che la società di mercato e il capitalismo internazionale, con annessi e connessi quali ad esempio la guerra, intesa come operazione di polizia internazionale (vedere le recenti invasioni dell’ Irak e dell’Afganistan), costituiscano l’unico scenario possibile e auspicabile; di sinistra è il “politically correct”, concentrato su di una paranoica esaltazione dei diritti dell’individuo, del singolo, e all’insulso moralismo (fine a se stesso) e alla “politeness” (le buone maniere, il buonismo fatto filosofia) della politica, che assume la sua massima dimensione nell’assurgere a mero chiacchiericcio da lavandaie.

Tutte le comunicazioni della cultura attuale, così come pure il sapere accademico, la ricerca, l’informazione, si muovono all’interno di questo codice comunicazionale dominante, la cui funzione unica ed ultima è di legittimare e sostentare il sistema vigente, raccogliendo i benefici sia in visibilità mediatica, carriere “intellettuali” e professionali, “successi” personali. Tale situazione può essere riassunta nella formula : “idee di destra, valori di sinistra”.

Dove cercare di fare peggio è davvero impresa improba ed impossibile.

La soluzione quindi per uscire da questo inferno in terra fatto di menzogne e mistificazioni reali ed ideologiche consiste nel non essere allineato con questa combinazione, e al contrario il pensiero politico da assumere, veicolare e propugnare è la formula esattamente contraria: “valori di destra, idee di sinistra”.

Con “destra sociale postindustriale” intendiamo un fronte sociale e politico le cui idee sono rese immediatamente funzionali alle esigenze di una concorrenza politica tra forze sociali, che si va a costituire in difesa delle antiche gerarchie sociali. L’asse paradigmatico destra-sinistra si è progressivamente imposto, finendo per contrassegnare in modo decisivo il campo della percezione e dell’azione politico-sociale della modernità matura.

Ma questo schematismo è assolutamente falso, mistificatorio, artificioso. Infatti la sinistra, contrariamente a quanto sempre affermato da tutti i cosiddetti studiosi, non è mai stata ideologicamente contrapposta e alternativa alla destra , ma una semplice evoluzione, precisazione, affinamento, perfezionamento delle idee della destra, e quindi figlia ed erede di questa e non sorellastra come ci è sempre malignamente e pretestuosamente fatto credere.

Ed è per questo che entrambe le ideologie possono coesistere e possono essere ulteriormente affinate raccogliendo e surrogando il meglio dell’una e dell’altra formula ideologica.

La destra politica è anch’essa comunque un prodotto della modernità, pure se in una chiave reattiva. Reattiva perché nume tutelare dei valori “naturali”, cioè i valori millenari, eterni, inestinguibili.

Con “destra sociale postindustriale” intendiamo una modalità tradizionale di visione ed accezione del mondo, da un punto di vista sia identificativo, integrativo che etico, descrivibile sinteticamente come “filosofia non-antropocentrica” secondo la quale il soggetto umano non è arbitro di se stesso, ma si inscrive in un ordine che lo trascende, secondo regole incondizionabili, e che per via di eredità culturale assume modelli precostituiti della sua possibilità di azione a cui adeguarsi per non precipitare nel caos.

Le parole una volta avevano un senso (cioè, appunto una direzione e potevano essere quindi percorse solo in quella direzione/verso/senso) e quindi ad esempio il termine “destra” e “destro”, così come pure “dritta” e “diritto”, diffusi in numerosissime lingue e culture umane per esprimere il senso della giustezza, della giustizia, della norma e della regolarità, rappresentano la percezione conscia ed inconscia, dell’esistenza di un metodo corretto di fare le cose secondo “la norma e il diritto naturale” connaturati alle relazioni umane primordiali.

In etimologia il radicale indoeuropeo poi assunto da quasi tutte le lingue occidentali del termine «destra», è “dek”, che imprime alle parole da esso derivate una serie di accezioni semantiche che possiamo tradurre in varie forme come : <ricevere rendendo onore>, <accogliere secondo la forma adeguata>, <ospitare degnamente>, <possedere autorevolezza e capacità>, <ereditare perché degni>, <essere destinati>.

Quindi dire “destra sociale postindustriale” equivale a : <essere degni per ricevere>. Altrettanto vale per “decoro”, “dignità”, “decenza”, lo stesso radicale indoeuropeo per il termine “destra” è lo stesso per il Diritto, a ciò che è “retto”, al “rendere giustizia” e compiere azioni “conformi alla regola”. Nelle culture arcaiche con un vocabolario forzatamente ristretto il nesso tra simbolo, parola ed azione è strettissimo, vincolante, obbligato, in particolare se riferisce ad usi cerimoniali. 

Destra e sinistra nel simbolismo tradizionale dell’ordine sociale non sono metà simmetriche ed antagoniste. La distinzione tra destra e sinistra sorge in seguito alla rivoluzione francese anche se diventa categoricamente distinta e precisata solo alla fine dell’Ottocento, nel contesto della trasformazione dei criteri di rappresentazione del rapporto tra le componenti della società.

Si passa allora : 1) dalla modalità verticistica che ingloba i ceti, in cui nel frattempo si era sezionata la società, all’interno di diseguali livelli di dignità ; 2) alla modalità orizzontale, che consente di modulare le posizioni e le appartenenze su di un asse polarizzato in cui tutti, però, si trovano sullo stesso piano.

Proprio questa caratteristica decretò il successo e l’approvazione delle moltitudini incoerenti ed impreparate, oltre che degli opportunisti pronti a salire su qualunque carro purchè momentaneamente vincente, all’interno del gioco politico della società compiutamente moderna.

Il range destra-sinistra consente di differenziarsi, ma anche di sfumare la differenziazione, realizzando un continuum variabile che si può di volta in volta estremizzare oppure convergere verso il centro, a seconda delle contingenze, opportunità o necessità storiche, sempre però mantenendo distinte, alternative e conflittuali le concettualizzazioni delle radici simboliche, parola ed azione.

La forza della distinzione destra-sinistra è insita nella sua stessa struttura simmetrica, e la sinistra proprio perché figlia della destra, assume un atteggiamento simile a quello di qualunque figlio che contesta i genitori pur mantenendo nelle sue cellule la metà del DNA di ciascuno dei genitori.

Nella rappresentazione simbolica dell’Ancien Régime, l’«alto» valeva più del «basso»; oltre a questo asse, però, ne esisteva un altro, ad esso corrispondente, che ne riproduceva la preminenza  sul piano orizzontale; esso era incardinato sul primato della destra, intesa come adeguatezza, dignità e favore, ma soprattutto come tutore delle regole (in particolare quelle naturali per assioma inalienabili). In coerenza con quasi tutte le culture tradizionali, come si è visto dalla discendenza etimologica delle parole, la destra non era equivalente alla sinistra, poiché disponeva di un valore simbolico superiore, positivo, rispetto al quale la sinistra ne era inclusa, allo stesso modo in cui il basso veniva compresa dall’alto.

A partire dalla rivoluzione francese in ogni luogo e in ogni epoca, in particolare in Italia negli ultimi anni è poco apprezzato dichiararsi di destra, al massimo si può dichiarare di essere più a destra rispetto ad una posizione di sinistra. E’ stata perpetrata una “rimozione”.

Ogni società umana, nell’individuare i crismi della sua legittimità, si deve misurare sempre  coi padri. Anche l’ innovazione politica che si propone come “nuovo inizio”, basato sulla libera ragione critica, deve fare i conti con l’antica dottrina del diritto naturale per legittimare la sua azione sovvertitrice.

Nella sfida tra sovversione e controrivoluzione, si è costituita una modalità rappresentazionale della contesa politica come un campo di forze aggregate attorno ad una artificiosa sinistra ed una cosiddetta destra. E davvero destra e sinistra hanno mai assunto e mantengono la capacità di denotare differenze significative rispetto alle opzioni politiche, in grado da identificarne le culture politiche di riferimento?

La famosa e divertente canzone di Giorgio Gaber è illuminante nella sua azione  demistificatrice del tentativo di codificare cialtronescamente cosa e quando qualcosa di reale nel comportamento sia effettivamente ascrivibile ad una visione di destra o di sinistra.

Comunque qualche differenza esiste, per la destra l’uomo è un EREDE, laddove per la sinistra egli è innanzitutto un individuo (un single). Il che è vero in entrambi i casi, e l’uno non esclude l’altro, per cui una nuova (e rivoluzionaria) visione della società e della politica deve integrare, rimodellare e riappropriarsi contemporaneamente e paritariamente delle due accezioni e di tutte le altre innumerevoli appartenenti all’individuo senza nessuna scala delle caratteristiche prioritarie.

In altri termini, l’uomo è degno ricevente di un patrimonio che lo rende tale. Ma quanto vi è di biologico e quanto vi è di culturale in questo “essere erede”?

L’approdo al paradigma ecologico/ambientalistico consente invece di tener valida la dimensione biologica senza essenzializzarla, in quanto stabilisce asetticamente e senza coinvolgimenti appalesati il primato della relazione forma di vita/ambiente vitale.

Una società salda nei suoi principi, nella sua fisionomia culturale ed etica non teme incontri con le altre culture, ed è anche in grado di accogliere degli stranieri, poiché li avverte come incapaci di modificare o dissolvere la propria storica cultura.

Nello sfaldamento irrimediabile della società odierna in crisi di identità, ruoli, competenze, ricchezze, delle tutele predisposte dal welfare e dello Stato in generale, occorre assolutamente e quanto prima ricostituire dal basso i canali della socialità primaria, attraverso raggruppamenti di prossimità che ricostituiscano su nuove fondanti basi la società e la sua struttura originaria di reti di alleanze, in un contesto dove il senso della reciprocità, solidarietà e fratellanza è ormai venuto meno.

Una azione prima fra altre altrettanto importanti è la riacquisizione degli status sociali al di fuori della stringente e perversa logica del denaro. In contrapposizione alle oligarchie pseudo-democratiche attuali, un’ aristocrazia della nobiltà d’animo, che dimostra la propria “auctoritas” nella capacità di legare, avvincere e convincere con il dono. In cui il dono è creatore di gerarchia, da cui scaturisce l’implicito impegno a restituire, ovvero la possibilità sempre aperta per il partecipe di rove­sciare il suo ruolo e stato di iniziale inferiorità. Una nuova società in cui non si aspetta sempre nel ruolo di ricettori e “consumatori” passivi, ma in cui si interagisce da protagonisti e produttori attivi di “ricchezza”, sociale, comune, nazionale, interetnica, solidale, interrelazionale, in continua evoluzione ed ebollizione, in senso propriamente chimico.

La nobile scala gerarchica emanata dall’ azione del dono è fluttuante, eterea, evanescente, cangiante, instabile, in continua mutazione, una “malting pot” in continuo fermento, ebollizione, essa permette alle società polisegmentate divise per sesso, età, cultura, generazione, censo, luogo, estrazione sociale, etnia, di intrecciare, sciogliere, tagliare, riannodare, collegare, scindere, cementare comunque, quantunque in un perenne continuum evolutivo e rivoluzionario gli individui ed i gruppi costitutivi tra di loro.

Solo così sarà possibile ricreare la rete sociale che tutto sostiene, e la differenziazione si potrà porre come àncora proporzionata, adeguata e quindi giusta, legittima, smarcandosi il concetto di “gerarchia” dai tabù preconcetti erettigli attorno in secoli di intenzionale e volontaria diffamazione.

Insomma, questo deve essere ben chiaro, l’individuo è uguale nei confronti dello Stato e delle Istituzioni nel rispetto e tutela dei suoi diritti primari ed inalienabili, ma mai nel diverso valore pertinente ed univoco da riconoscere a ciascuno.

Per un vero, originale, nuovo progetto politico occorre quindi ricreare una intesa, intensa, fattiva e feconda collaborazione tra popolo e “ottimati” (coloro che meglio di altri sono dotati di competenze, strumenti, conoscenze), una pregnante, consapevole partecipata alleanza contro le eterogenee agenzie del Potere attualmente dominante della borghesia finanziaria (con mille teste, come l’Idra), che sia avversario indefettibile della obsoleta borghesia individualista in tutte le sue polimorfe proposizioni; concepito a costituire un blocco indissolubile tra popolazione/cittadini/fazioni/individui e “aristói” (i fratelli maggiori a qualunque titolo più dotati), contro tutti i trafficanti di merci, di denaro e di schiavi.

Le persone, tutte, hanno memoria corta e tendono a dimenticare i concetti astratti, anche i più importanti, delle vicende personali e storiche, in genere ricordano i fatti, le azioni, e non i concetti astratti che li hanno determinati e che rappresentano l’essenza vera dell’azione e dei fatti.

Uno degli aspetti più eclatanti di queste dimenticanze è che in origine a qualcuno è stata attribuita una “auctoritas”, ma questo è sempre avvenuto per il riconoscimento di meriti acquisiti, ed è questo che da “titolo” all’auctoritas ed è anche il motivo che ci consente di distinguere tra la legittimità e la mera legalità del Potere, subordinando la forza al Diritto.

Il Merito in qualunque campo e per chiunque finalmente potrà divenire “Titolo” e quindi “autorità”

Non è opponendosi allo sviluppo degli eventi, né nella strenua difesa del vigente sistema di Potere che si risolve la grande attuale crisi, ma nell’immersione in essa con spirito innovativo, puntando a far riemergere le costanti umane e naturali che, nella loro profondità e imperitura valenza, si erigono a presidio e fondamento di ogni ordine sociale e politico.
E non è certamente il movimento ambientalista o neanche il più recente movimento “No Global” che possono scuotere ed abbattere l’attuale Potere mondiale perché essi non hanno sufficiente profondità ed ampiezza di motivazioni tali da raccogliere ampi e generali consensi politici.

Questi movimenti non sono abbastanza radicali, stanno dalla parte giusta ma per motivi sbagliati. Giusto il rifiuto dei valori attuali,…. ma nelle scarse, scarne, esigue proposte e programmi solutori si ravvisa la metodica tendenza alla sclerotizzazione enfatica della società postcapitalistica attuale.

Tant’è che ……. pur battendosi giustamente contro l’omologazione del nuovo ordine mondiale, si introducono nel frullatore per omogeneizzarsi nella teoria dell’IDENTICO che ne sta alla base.

Insomma “un altro mondo è possibile”, ma non lo si potrà certamente erigere sul primato dell’economia, della produzione e dei “diritti” dell’Individuo, ma solo sulla soddisfazione delle “necessità” dell’individuo (FIL) e soprattutto nel benessere (BIL) della fraterna coesistenza sociale.

Quindi ……molti meno “diritti individuali e privati” e sempre più “valori pubblici e sociali”.

In primis perché l’ecosistema non può, e sempre meno potrà, sostenere una simile parosistica frenesia dissolutiva. La logica del desiderio infinito di possesso e del consumismo estremistico è autodistruttivo e conduce alla paranoia, alla degenerazione e all’annichilimento morale e materiale.

Occorre riattivare quelle concrete forme di socialità primaria che attingono dall’inesauribile serbatoio di differenze che è la vita stessa, nei suoi fondamenti naturali e primordiali.

La sinistra politica, anche se in perfetta buonafede, ha da sempre sbagliato tutto fin dall’inizio, assumendo come nemico il padrone, il borghese, l’imprenditore, e non invece il mandante, e cioè la grande finanza internazionale con cui viceversa è sempre andata a braccetto,

E anche quelle che potrebbero sembrare vittorie conseguite per migliorare le condizioni di vita di chi era subordinato contribuendo a realizzare sistemi sociali più inclusivi, equi, partecipativi, in realtà sono soltanto dei “contentini” resisi disponibili solo a seguito delle sopravvenute evoluzioni energetiche e tecnologiche che hanno permesso migliori orari di lavoro, salari più alti però dedicati ad aumentare il potere d’acquisto delle merci del “desiderio indotto” e del denaro messi a disposizione dal Potere per avere schiavi semplicemente più convinti.

La sinistra attuale è ancora più disprezzabile che in qualunque altra sua fase storica e dopo il trapasso del comunismo e la dissoluzione del welfare sociale, essa sempre più si involve in ectoplastiche ed indefinite esigenze individualistiche corredate da un pacifismo ingenuo, lassista, moraleggiante e semplicistico.

In questo senza ombra di dubbio sotterraneamente manovrata da lauti finanziamenti dello stesso Potere che finanzia anche il cosiddetto “centro – destra” attuale. Una semplice accentuazione su concetti di “lana caprina”, una autocastrazione politica/programmatica ridotta a mediazione tra rappresentanti di “legittimi?” interessi privati.

Una sinistra incapace di accepire ed arroccarsi a difesa del “noi” per cui era stata concepita, ed invece svaporata, dissoltasi e comunque appiccicatasi a molteplici “io” narcisistici, riottosi a sacrificarsi per gli altri e a riconoscere che bisogna donare per essere degni di ricevere.

Per Questi Motivi è tempo che nasca il grande nipote della “destra sociale postindustriale” e del diritto naturale grande reietto ed occultato, degli ultimi cent’anni almeno, spirito guida nei momenti di difficoltà.

Un nipote che sarà però figlio e sua volta della figlia degenere ….  e quindi portatore dei migliori valori della Sinistra Riformata con elementi derivanti dalla tradizione cristiana, integrati e coniugati dal recupero dei Principi Naturali,  congiunti all’essenza storica della Destra Sociale, e vincolati tutti all’ineludibile Integrazione pangeistica Antropoculturale. Da tutto questo nascerà il Benessere Interno Lordo ……….  Sarà maschio e lo chiameremo  Andros.