Coesistenza tra i valori personali/sociali naturali e la proprietà privata
Di Veientefurente alias Orazio
Fergnani
La proprietà privata non è sempre esistita. Fu istituita e statuita verso la fine del Medioevo con la nascita della manifattura, un nuovo metodo di produzione che non si lasciava subordinare alla proprietà e al potere feudale.
L’apparizione sullo scenario economico-sociale della manifattura e della contemporanea figura del borghese (abitante del borgo, ben distinto dal nobile e dal popolano) generò il concetto di “proprietà privata”.
Per la società ed economia dell’epoca, ancora non abbastanza sviluppate per produrre a sufficienza per tutti, la proprietà privata diventò una opportunità ma anche un vincolo, un limite, una discriminazione, una grande disparità.
Successivamente
ci furono illustri sociologi e studiosi di varia specializzazione come Rousseau
che, si occupò prevalentemente di ricercare le cause delle ingiustizie sociali.
Probabilmente questo suo interesse e questo suo accanimento derivavano dalla
sua esperienza personale di figlio di poveri artigiani, che lo aveva costretto
per lunghi anni a vivere in misere condizioni. In estrema sintesi egli
identifica nell’organizzazione della sua contemporanea società la radice del
male dell’uomo: l’assenza di libertà, la disuguaglianza economica, sociale ed
etica.
A suo
parere le ingiustizie sociali sono il risultato di un particolare fattore
economico, la proprietà privata, e senz’altro aveva la sua parte di ragione.
Dal momento
in cui l’uomo si è reso padrone di un bene dicendo “questo è mio”, è nata la
società civile e con essa sono nate le disuguaglianze e quindi la sottomissione
dei poveri ai ricchi che al fine di garantirsi il mantenimento della propria
proprietà servendosi del graduale assoggettamento e controllo del potere
politico hanno nel contempo soggiogato e sfruttato tutte le altre classi
sociali.
Proprio
riguardo questo tema, sempre Rousseau scrisse “Il discorso sull’origine
dell’ineguaglianza tra gli uomini” e più tardi “L’Emilio” e “Il contratto
sociale”. In quest’ultima opera egli identifica
nel “contratto sociale”l’elemento catalizzatore che possa essere un
rimedio all’ineguaglianza. Esso restituirà all’uomo la libertà, lo riporterà al
suo stato naturale e ne farà un essere sociale.
Proudhon dal
canto suo ne “Che cos’è la proprietà?” inserisce la sua famosa definizione “la
proprietà è un furto”. Questa definizione si riferisce al fatto che la
proprietà rende possibile l’appropriazione del lavoro altrui. Per cui Proudhon
non vuole l’abolizione della proprietà capitalistica, ma solo l’abolizione dell’interesse
capitalistico, cioè del reddito illegittimo che la proprietà privata
consente di godere al capitalista a spesa del lavoro altrui. La sua idea della
proprietà si riferisce alla somma degli abusi odiosi che dalla proprietà
possono derivare ed alla violenza che essa è in grado di esercitare sui ceti
più deboli. Inoltre egli nega la figura del sovrano e ad essa contrappone
l’anarchia che però non deve essere intesa come generatrice di caos.
Come
Rousseau, anche Proudhon fa riferimento al “contratto sociale”, ma in maniera
molto diversa. Per Proudhon il contratto
sociale è un patto in cui le parti si accordano liberamente in un sistema di
scambi reciproci. L’individuo si realizza solo all’interno di un gruppo
ed il principio fondamentale che tiene uniti i rapporti sociali tra uomini è la
giustizia. La giustizia deve essere una realtà, una forza dell’anima
individuale e della vita associata.
Anche Marx
ed Engels condannarono duramente la proprietà privata. Essi fecero una feroce critica
filosofico-politica allo Stato, dove scorgevano i tratti essenziali della
civiltà moderna nell’individualismo e nell’atomismo, che “legalizzano” come
diritti dell’uomo la libertà individuale e la proprietà privata. La proprietà è
per loro un monopolio su certi oggetti o privilegi protetti dallo Stato, che possono
essere usati per sfruttare il lavoro altrui.
Lo Stato è
la proiezione politica di una Società strutturalmente a-sociale. L’ideale di
società che Marx ed Engels hanno in mente si identifica con un modello di
democrazia sostanziale e totale.
Secondo
loro, l’unico modo per realizzare un modello di comunità solidale è
l’eliminazione delle disuguaglianze reali tra gli uomini, ed in particolare
modo della proprietà privata.
A
realizzare questa impresa sarà per entrambi la classe priva di proprietà, il
proletariato, che soffre maggiormente dell’alienazione prodotta dalla società
borghese, e che con una rivoluzione non ha nulla da perdere (perché ha già
perso tutto) e tutto da guadagnare.
Infatti la
causa del meccanismo globale dell’alienazione dell’operaio risiede nella
proprietà privata dei mezzi di produzione in virtù della quale il possessore
della fabbrica può utilizzare il lavoro di una certa categoria di individui, i
salariati, per accrescere la propria ricchezza.
E questo è
ancor più esponenzialmente vero oggigiorno in cui i mezzi di produzione dei
beni e della ricchezza sono appannaggio unicamente ,alla fine del percorso
della ricchezza, delle grandi banche internazionali!
Anche
Veblen, considerato il primo esponente della sociologia nordamericana,
disdegnerà la ricchezza ricavata dal lavoro altrui. Nella sua più importante
opera “La teoria della classe agiata” egli tratterà l’istituzione della
proprietà privata. Ponendosi egli stesso nella mentalità del povero e operoso
contadino norvegese critica il lusso e gli inutili sprechi dei ricchi.
A suo
parere, ed anche a mio parere, l’ istituzione della proprietà privata non può
essere compresa esclusivamente come un modo per garantirsi la sussistenza, essa
ha molte sfaccettature e per la maggior parte legittime, e da preservarsi, non
però la successiva considerazione.
Questa
istituzione trova purtroppo prevalente fondamento, supporto, giustificazione
sull’ emulazione, cioè sul bisogno di apparire
più ricchi, potenti e superiori
agli altri, e si manifesta con il consumo vistoso, appariscente, ingiustificato.
Veblen condannerà questo consumo improprio, anticipando le successive critiche
al consumismo.
Egli
distingue due tipi di attività e due tipi di istituzioni: L’istituzione e
l’attività finanziaria, che sono basate sul guadagno che deriva dalla proprietà
privata ( Veblen attaccherà i capitalisti che vivono di una attività
finanziaria improduttiva ); l’istituzione e l’attività industriale, che sono
basate sul lavoro manuale e produttivo. Distingue anche la cultura in cultura
accademica, collegata ad una visione magica del mondo, e cultura tecnologica,
basata appunto sullo sviluppo tecnologico. Secondo Veblen lo sviluppo della
cultura tecnologica e conseguentemente dello sviluppo industriale attenuerebbe
la moda del consumismo attraverso l’evoluzione sociale, e qui aveva ragione su
alcuni aspetti e torto marcio su tantissimi altri.
Ognuno di
questi sociologi a cui si è fatto riferimento ha cercato di trovare una
soluzione all’istituzione ed all’abuso della proprietà privata senza peraltro
mai riuscire in maniera determinante a coglierla e a definirla compiutamente,
questo soprattutto perché essa sempre esaminata avulsa dal confronto e dalla
comparazione sulla valenza dei “valori naturali” preesistenti alla proprietà
privata.
Oggi alcuni
fra cui Alain de Benoist finalmente si sono avvicinati alla captazione dello
scenario completo percependo epitelialmente alcuni aspetti, che condivido in
pieno, ma non riuscendo però a recepirli esaustivamente e ad evidenziarli nel
loro reale grado e dimensione.
Ecco a
conclusione di questa lunga prefazione quale è la mia personale convinzione sul
sistema complessivo della società, della politica, dell’economia e delle sue
infinite manifestazioni, considerazioni, estrinsecazioni e conseguenze.
Dall’ epoca della Rivoluzione francese in poi la schiera
delle opzioni politiche ha sempre ruotato attorno all’artefatto dualismo destra
–sinistra.
Negli ultimi anni, la cosiddetta “fine delle ideologie”, il crollo del
comunismo reale e non, nonché la caduta del dollaro, del capitalismo, del
liberismo e la corruzione finale di questi concetti ha determinato il prevalere di logiche puramente amministrative ed
economiciste di sopravvivenza cosciente o inconsapevole, e il mantenimento
delle posizioni acquisite, ed hanno contribuito a disgregare ogni aspetto della
politica storica in senso lato, la quale però continua ad essere percepita
nella teorizzazione comune come centro – destra o centro – sinistra.
In ogni caso così mettendo finalmente in chiaro la
artificiosità e falsità di questo concetto dualistico contrappositivo,
alternativo; un sistema creato sul nulla e sostenuto da nulla se non dal denaro
della grande borghesia a partire da qualche decennio prima della rivoluzione
francese. Borghesia che avvedendosi
dello sviluppo della cultura e dello svelamento della nebbie dell’ignoranza e
della superstizione, aveva ben percepito la potenziale dirompenza delle
richieste sociali delle nuovi classi emergenti della cultura, della ricerca,
delle professioni, delle nuove classi sociali generatesi dall’industria.
Viene spontaneo, ed è il quesito centrale a cui dare
risposta politica, chiedersi se queste categorie siano confacenti e abbiano tuttoggi
un senso, e se siano in grado di manifestare e rappresentare la realtà politica e sociale attuale.
L’attuale riflessione si incentra sulla distinzione tra una concezione
puramente politica della destra e una concezione conservatoristica della
relazione “uomo-mondo” definita destra “sociale”. Le categorie concettuali filosofiche
che ne sono alla base, ovvero natura, identità, gerarchia, autorità, ordine,
ruoli, posizioni, diritto ….. si dispongono perfettamente ad un’applicazione
politica reazionaria, ma anche ad una ricollocazione in una visione evolutiva
che presenta insospettate prospettive per fronteggiare la crisi attuale senza virtuali
violenze nè rischi di ricaduta nei secoli bui.
La società contemporanea è dominata a livello comunicativo/culturale
da un’ideologia che intreccia due formule dogmatizzate, ascrivibili una alla destra e una alla sinistra non più identificabili con reali ed esistenti
forze sociali.
Di destra è il “pensiero unico”, ossia l’idea che la società
di mercato e il capitalismo internazionale, con annessi e connessi quali ad
esempio la guerra, intesa come operazione di polizia internazionale (vedere le
recenti invasioni dell’ Irak e dell’Afganistan), costituiscano l’unico scenario
possibile e auspicabile; di sinistra è il “politically correct”, concentrato su
di una paranoica esaltazione dei diritti dell’individuo, del singolo, e
all’insulso moralismo (fine a se stesso) e alla “politeness” (le buone maniere,
il buonismo fatto filosofia) della politica, che assume la sua massima
dimensione nell’assurgere a mero chiacchiericcio da lavandaie.
Tutte le comunicazioni della cultura attuale, così come pure
il sapere accademico, la ricerca, l’informazione, si muovono all’interno di
questo codice comunicazionale dominante, la cui funzione unica ed ultima è di
legittimare e sostentare il sistema vigente, raccogliendo i benefici sia in visibilità
mediatica, carriere “intellettuali” e professionali, “successi” personali. Tale
situazione può essere riassunta nella formula : “idee di destra, valori di
sinistra”.
Dove cercare di fare peggio è davvero impresa improba ed
impossibile.
La soluzione quindi per uscire da questo inferno in terra fatto
di menzogne e mistificazioni reali ed ideologiche consiste nel non essere
allineato con questa combinazione, e al contrario il pensiero politico da
assumere, veicolare e propugnare è la formula esattamente contraria: “valori di
destra, idee di sinistra”.
Con “destra sociale postindustriale” intendiamo un fronte
sociale e politico le cui idee sono rese immediatamente funzionali alle
esigenze di una concorrenza politica tra forze sociali, che si va a costituire
in difesa delle antiche gerarchie sociali. L’asse paradigmatico destra-sinistra
si è progressivamente imposto, finendo per contrassegnare in modo decisivo il
campo della percezione e dell’azione politico-sociale della modernità matura.
Ma questo schematismo è assolutamente falso, mistificatorio,
artificioso. Infatti la sinistra, contrariamente a quanto sempre affermato da
tutti i cosiddetti studiosi, non è mai stata ideologicamente contrapposta e
alternativa alla destra , ma una semplice evoluzione, precisazione, affinamento,
perfezionamento delle idee della destra, e quindi figlia ed erede di questa e
non sorellastra come ci è sempre malignamente e pretestuosamente fatto credere.
Ed è per questo che entrambe le ideologie possono coesistere
e possono essere ulteriormente affinate raccogliendo e surrogando il meglio
dell’una e dell’altra formula ideologica.
La destra politica è anch’essa comunque un prodotto della
modernità, pure se in una chiave reattiva. Reattiva perché nume tutelare dei
valori “naturali”, cioè i valori millenari, eterni, inestinguibili.
Con “destra sociale postindustriale” intendiamo una modalità
tradizionale di visione ed accezione del mondo, da un punto di vista sia identificativo,
integrativo che etico, descrivibile sinteticamente come “filosofia
non-antropocentrica” secondo la quale il soggetto umano non è arbitro di se
stesso, ma si inscrive in un ordine che lo trascende, secondo regole
incondizionabili, e che per via di eredità culturale assume modelli precostituiti
della sua possibilità di azione a cui adeguarsi per non precipitare nel caos.
Le parole una volta avevano un senso (cioè, appunto una
direzione e potevano essere quindi percorse solo in quella direzione/verso/senso)
e quindi ad esempio il termine “destra” e “destro”, così come pure “dritta” e
“diritto”, diffusi in numerosissime lingue e culture umane per esprimere il
senso della giustezza, della giustizia, della norma e della regolarità, rappresentano
la percezione conscia ed inconscia, dell’esistenza di un metodo corretto di
fare le cose secondo “la norma e il diritto naturale” connaturati alle
relazioni umane primordiali.
In etimologia il radicale indoeuropeo poi assunto da quasi
tutte le lingue occidentali del termine «destra», è “dek”, che imprime alle
parole da esso derivate una serie di accezioni semantiche che possiamo tradurre
in varie forme come : <ricevere rendendo onore>, <accogliere secondo
la forma adeguata>, <ospitare degnamente>, <possedere autorevolezza
e capacità>, <ereditare perché degni>, <essere destinati>.
Quindi dire “destra sociale postindustriale” equivale a :
<essere degni per ricevere>. Altrettanto vale per “decoro”, “dignità”,
“decenza”, lo stesso radicale indoeuropeo per il termine “destra” è lo stesso
per il Diritto, a ciò che è “retto”, al “rendere giustizia” e compiere azioni
“conformi alla regola”. Nelle culture arcaiche con un vocabolario forzatamente
ristretto il nesso tra simbolo, parola ed azione è strettissimo, vincolante, obbligato,
in particolare se riferisce ad usi cerimoniali.
Destra e sinistra nel simbolismo tradizionale dell’ordine sociale non sono metà simmetriche ed antagoniste. La distinzione tra destra e sinistra sorge in seguito alla rivoluzione francese anche se diventa categoricamente distinta e precisata solo alla fine dell’Ottocento, nel contesto della trasformazione dei criteri di rappresentazione del rapporto tra le componenti della società.
Si passa allora : 1) dalla modalità verticistica che ingloba
i ceti, in cui nel frattempo si era sezionata la società, all’interno di
diseguali livelli di dignità ; 2) alla modalità orizzontale, che consente di
modulare le posizioni e le appartenenze su di un asse polarizzato in cui tutti,
però, si trovano sullo stesso piano.
Proprio questa caratteristica decretò il successo e
l’approvazione delle moltitudini incoerenti ed impreparate, oltre che degli
opportunisti pronti a salire su qualunque carro purchè momentaneamente
vincente, all’interno del gioco politico della società compiutamente moderna.
Il range destra-sinistra consente di differenziarsi, ma
anche di sfumare la differenziazione, realizzando un continuum variabile che si
può di volta in volta estremizzare oppure convergere verso il centro, a seconda
delle contingenze, opportunità o necessità storiche, sempre però mantenendo
distinte, alternative e conflittuali le concettualizzazioni delle radici
simboliche, parola ed azione.
La forza della distinzione destra-sinistra è insita nella
sua stessa struttura simmetrica, e la sinistra proprio perché figlia della
destra, assume un atteggiamento simile a quello di qualunque figlio che
contesta i genitori pur mantenendo nelle sue cellule la metà del DNA di ciascuno
dei genitori.
Nella rappresentazione simbolica dell’Ancien Régime,
l’«alto» valeva più del «basso»; oltre a questo asse, però, ne esisteva un
altro, ad esso corrispondente, che ne riproduceva la preminenza sul piano orizzontale; esso era incardinato
sul primato della destra, intesa come adeguatezza,
dignità e favore, ma soprattutto
come tutore delle regole (in particolare quelle naturali per assioma
inalienabili). In coerenza con quasi tutte le culture tradizionali, come si è
visto dalla discendenza etimologica delle parole, la destra non era equivalente
alla sinistra, poiché disponeva di un valore simbolico superiore, positivo,
rispetto al quale la sinistra ne era inclusa, allo stesso modo in cui il basso
veniva compresa dall’alto.
A partire dalla rivoluzione francese in
ogni luogo e in ogni epoca, in particolare in Italia negli ultimi anni è poco
apprezzato dichiararsi di destra, al massimo si può dichiarare di essere più a
destra rispetto ad una posizione di sinistra. E’ stata perpetrata una
“rimozione”.
Ogni società umana, nell’individuare i crismi della sua
legittimità, si deve misurare sempre coi
padri. Anche l’ innovazione politica che si propone come “nuovo inizio”, basato
sulla libera ragione critica, deve fare i conti con l’antica dottrina del
diritto naturale per legittimare la sua azione sovvertitrice.
Nella sfida tra sovversione e controrivoluzione, si è costituita
una modalità rappresentazionale della contesa politica come un campo di forze
aggregate attorno ad una artificiosa sinistra ed una cosiddetta destra. E
davvero destra e sinistra hanno mai assunto e mantengono la capacità di
denotare differenze significative rispetto alle opzioni politiche, in grado da
identificarne le culture politiche di riferimento?
La famosa e divertente canzone di Giorgio Gaber è
illuminante nella sua azione
demistificatrice del tentativo di codificare cialtronescamente cosa e
quando qualcosa di reale nel comportamento sia effettivamente ascrivibile ad
una visione di destra o di sinistra.
Comunque qualche differenza esiste, per la destra l’uomo è un EREDE, laddove per la sinistra egli è innanzitutto un individuo (un single). Il che è vero in entrambi i casi, e l’uno non esclude l’altro, per cui una nuova (e rivoluzionaria) visione della società e della politica deve integrare, rimodellare e riappropriarsi contemporaneamente e paritariamente delle due accezioni e di tutte le altre innumerevoli appartenenti all’individuo senza nessuna scala delle caratteristiche prioritarie.
In altri termini, l’uomo è degno ricevente di un
patrimonio che lo rende tale. Ma quanto vi è di biologico e quanto vi è di
culturale in questo “essere erede”?
L’approdo al paradigma ecologico/ambientalistico consente
invece di tener valida la dimensione biologica senza essenzializzarla, in
quanto stabilisce asetticamente e senza coinvolgimenti appalesati il primato
della relazione forma di vita/ambiente vitale.
Una società salda nei suoi principi, nella sua fisionomia
culturale ed etica non teme incontri con le altre culture, ed è anche in grado
di accogliere degli stranieri, poiché li avverte come incapaci di modificare o dissolvere
la propria storica cultura.
Nello sfaldamento irrimediabile della società odierna in
crisi di identità, ruoli, competenze, ricchezze, delle tutele predisposte dal
welfare e dello Stato in generale, occorre assolutamente e quanto prima ricostituire
dal basso i canali della socialità
primaria, attraverso raggruppamenti di prossimità che ricostituiscano
su nuove fondanti basi la società e la sua struttura originaria di reti di
alleanze, in un contesto dove il senso della reciprocità, solidarietà e
fratellanza è ormai venuto meno.
Una azione prima fra altre altrettanto importanti è la riacquisizione
degli status sociali al di fuori della stringente e perversa logica del denaro.
In contrapposizione alle oligarchie pseudo-democratiche attuali, un’ aristocrazia della nobiltà d’animo,
che dimostra la propria “auctoritas” nella capacità di legare, avvincere e
convincere con il dono. In
cui il dono è creatore di gerarchia, da cui scaturisce l’implicito impegno a restituire,
ovvero la possibilità sempre aperta per il partecipe di rovesciare il suo ruolo
e stato di iniziale inferiorità. Una nuova società in cui non si aspetta sempre
nel ruolo di ricettori e “consumatori” passivi, ma in cui si interagisce da protagonisti
e produttori attivi di “ricchezza”, sociale, comune, nazionale, interetnica,
solidale, interrelazionale, in continua evoluzione ed ebollizione, in senso
propriamente chimico.
La nobile scala gerarchica emanata dall’ azione del dono è
fluttuante, eterea, evanescente, cangiante, instabile, in continua mutazione,
una “malting pot” in continuo fermento, ebollizione, essa permette alle società
polisegmentate divise per sesso, età, cultura, generazione, censo, luogo, estrazione
sociale, etnia, di intrecciare, sciogliere, tagliare, riannodare, collegare,
scindere, cementare comunque, quantunque in un perenne continuum evolutivo e
rivoluzionario gli individui ed i gruppi costitutivi tra di loro.
Solo così sarà possibile ricreare la rete sociale che tutto
sostiene, e la differenziazione si potrà porre come àncora proporzionata,
adeguata e quindi giusta, legittima, smarcandosi il concetto di “gerarchia” dai
tabù preconcetti erettigli attorno in secoli di intenzionale e volontaria diffamazione.
Insomma, questo deve essere ben chiaro, l’individuo è uguale nei confronti dello Stato e delle
Istituzioni nel rispetto e tutela dei suoi diritti primari ed inalienabili, ma
mai nel diverso valore pertinente ed univoco da riconoscere a ciascuno.
Per un vero, originale, nuovo progetto politico occorre quindi ricreare una intesa, intensa, fattiva e feconda collaborazione tra popolo e “ottimati” (coloro che meglio di altri sono dotati di competenze, strumenti, conoscenze), una pregnante, consapevole partecipata alleanza contro le eterogenee agenzie del Potere attualmente dominante della borghesia finanziaria (con mille teste, come l’Idra), che sia avversario indefettibile della obsoleta borghesia individualista in tutte le sue polimorfe proposizioni; concepito a costituire un blocco indissolubile tra popolazione/cittadini/fazioni/individui e “aristói” (i fratelli maggiori a qualunque titolo più dotati), contro tutti i trafficanti di merci, di denaro e di schiavi.
Le persone, tutte, hanno memoria corta e tendono a
dimenticare i concetti astratti, anche i più importanti, delle vicende
personali e storiche, in genere ricordano i fatti, le azioni, e non i concetti
astratti che li hanno determinati e che rappresentano l’essenza vera
dell’azione e dei fatti.
Uno degli aspetti più eclatanti di queste dimenticanze è che
in origine a qualcuno è stata attribuita una “auctoritas”, ma questo è sempre
avvenuto per il riconoscimento di meriti acquisiti, ed è questo che da “titolo”
all’auctoritas ed è anche il motivo che ci consente di distinguere tra la
legittimità e la mera legalità del Potere, subordinando la forza al Diritto.
Il Merito in qualunque campo e per chiunque finalmente potrà
divenire “Titolo” e quindi “autorità”
Non è opponendosi allo sviluppo degli eventi, né nella
strenua difesa del vigente sistema di Potere che si risolve la grande attuale crisi,
ma nell’immersione in essa con spirito innovativo, puntando a far riemergere le
costanti umane e naturali che, nella loro profondità e imperitura valenza, si
erigono a presidio e fondamento di ogni ordine sociale e politico.
E non è certamente il movimento ambientalista o neanche il
più recente movimento “No Global” che possono scuotere ed abbattere l’attuale
Potere mondiale perché essi non hanno sufficiente profondità ed ampiezza di
motivazioni tali da raccogliere ampi e generali consensi politici.
Questi movimenti non sono abbastanza radicali, stanno
dalla parte giusta ma per motivi sbagliati. Giusto il rifiuto dei valori
attuali,…. ma nelle scarse, scarne, esigue proposte e programmi solutori si
ravvisa la metodica tendenza alla sclerotizzazione enfatica della società
postcapitalistica attuale.
Tant’è che ……. pur battendosi giustamente contro
l’omologazione del nuovo ordine mondiale, si introducono nel frullatore per
omogeneizzarsi nella teoria dell’IDENTICO
che ne sta alla base.
Insomma “un altro mondo è possibile”, ma non lo si potrà certamente
erigere sul primato dell’economia, della produzione e dei “diritti” dell’Individuo, ma solo sulla soddisfazione delle “necessità” dell’individuo (FIL)
e soprattutto nel benessere (BIL) della fraterna coesistenza sociale.
Quindi ……molti meno
“diritti individuali e privati” e sempre più “valori pubblici e sociali”.
In primis perché l’ecosistema non può, e sempre meno potrà,
sostenere una simile parosistica frenesia dissolutiva. La logica del desiderio
infinito di possesso e del consumismo estremistico è autodistruttivo e conduce alla
paranoia, alla degenerazione e all’annichilimento morale e materiale.
Occorre riattivare quelle concrete forme di socialità
primaria che attingono dall’inesauribile serbatoio di differenze che è la vita
stessa, nei suoi fondamenti naturali e primordiali.
La sinistra politica, anche se in perfetta buonafede, ha da sempre sbagliato tutto fin dall’inizio, assumendo come nemico il padrone, il borghese, l’imprenditore, e non invece il mandante, e cioè la grande finanza internazionale con cui viceversa è sempre andata a braccetto,
E anche quelle che potrebbero sembrare vittorie conseguite
per migliorare le condizioni di vita di chi era subordinato contribuendo a
realizzare sistemi sociali più inclusivi, equi, partecipativi, in realtà sono
soltanto dei “contentini” resisi disponibili solo a seguito delle sopravvenute
evoluzioni energetiche e tecnologiche che hanno permesso migliori orari di
lavoro, salari più alti però dedicati ad aumentare il potere d’acquisto delle
merci del “desiderio indotto” e del denaro messi a disposizione dal Potere per
avere schiavi semplicemente più convinti.
La sinistra attuale è ancora più disprezzabile che in
qualunque altra sua fase storica e dopo il trapasso del comunismo e la dissoluzione
del welfare sociale, essa sempre più si involve in ectoplastiche ed indefinite esigenze
individualistiche corredate da un pacifismo ingenuo, lassista, moraleggiante e
semplicistico.
In questo senza ombra di dubbio sotterraneamente manovrata
da lauti finanziamenti dello stesso Potere che finanzia anche il cosiddetto
“centro – destra” attuale. Una semplice accentuazione su concetti di “lana
caprina”, una autocastrazione politica/programmatica ridotta a mediazione tra
rappresentanti di “legittimi?” interessi privati.
Una sinistra incapace di accepire ed arroccarsi a difesa del
“noi” per cui era stata concepita, ed invece svaporata, dissoltasi e comunque
appiccicatasi a molteplici “io” narcisistici, riottosi a sacrificarsi per gli
altri e a riconoscere che bisogna donare
per essere degni di ricevere.
Per Questi Motivi è tempo che nasca il grande nipote della “destra sociale postindustriale” e del diritto naturale grande reietto ed
occultato, degli ultimi cent’anni almeno, spirito guida nei momenti di difficoltà.
Un nipote che sarà però figlio e sua volta della figlia
degenere …. e quindi portatore dei
migliori valori della Sinistra Riformata
con elementi derivanti dalla tradizione cristiana, integrati e coniugati dal recupero dei Principi Naturali, congiunti
all’essenza storica della Destra Sociale,
e vincolati tutti all’ineludibile Integrazione
pangeistica Antropoculturale. Da tutto questo nascerà il Benessere Interno
Lordo ………. Sarà maschio e lo
chiameremo Andros.